No alle mutilazioni genitali femminili
Il 6 febbraio
scorso si è celebrata la Giornata Internazionale contro le
mutilazioni genitali femminili, una pratica brutale con la quale
i corpi femminili vengono violati nella loro sessualità e costretti
a subire violenza e dolore per un “rituale di passaggio all’età
adulta” di cui alcuni ancora oggi giustificano l’esistenza.
Nel mondo almeno 200
milioni di bambine e di ragazze tra i 15 e i 19 anni sono state
sottoposte a mutilazioni genitali femminili che vanno dalla rimozione
del clitoride, a quella delle piccole e delle grandi labbra o ancora
alla chiusura dell’orifizio vaginale, più nota come
“infibulazione”.
Orribili mutilazioni
motivate spesso da ragioni di ordine religioso che in realtà di
religioso non hanno proprio nulla e che invece rispondono alla
volontà maschile di sottomettere la donna. Vengono eseguite con
lamette, strumenti affilati non sterilizzati, senza le necessarie
precauzioni di tipo sanitario e molto spesso comportano gravi
infezioni, cistiti, emorragie e dolore, se non, nei casi più gravi,
la morte.
Sono diffuse in alcuni
paesi asiatici e del Medio Oriente (Yemen o Iraq) ed in
particolare in Africa, in paesi quali la Somalia, ove i dati
riportano che la percentuale delle donne mutilate sia addirittura del
98%, l’Eritrea, Djibouti, l’Egitto, il Sudan, Burkina Faso,
Gambia, Guinea ove assistiamo al perpetrarsi di queste torture.
Gli unici strumenti
utili per combattere queste usanze violente sono l’informazione
e il dialogo, proprio per minare il loro radicamento nelle
diverse culture.
L’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite ha incluso l’eliminazione delle mutilazioni
genitali femminili tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile,
approvati nel 2015, che dovranno essere raggiunti entro il 2030.
#STOPTHECUT
#ZEROSUTRE